Una vita con la Fibrosi Cistica

Prisca e' una ragazza meravigliosa, solare, piena d'amore per la vita e le persone che ha incontrato nella sua vita su questa terra, conclusasi dopo un intenso passaggio durato 28 anni.
Era nata con la Fibrosi cistica, una malattia genetica, la piu' diffusa, in percentuale, nella razza bianca,anche se sconosciuta alla maggior parte della popolazione che non vi sia entrata in contatto per parentele o amicizie.
Nonostante questa malattia complichi notevolmente la vita di chi ne e' affetto, Prisca e' riuscita a mantenere il sorriso sulle labbra e negli occhi fino all'ultimo.
Forse per questo motivo, molte persone continuano a portarla nel cuore e a coltivare amicizie che sono nate grazie a lei.
La sua piu' grande amica ed ammiratrice e' la scrivente che e' anche la mamma.
Il motivo per cui faccio lo sforzo (per me piuttosto grande) di far partire questo blog, e' che ritengo importante condividere la storia di Prisca, le battaglie per la vita, le esperienze vissute legate a questa malattia, perche' quando mi sono trovata a vivere, con la mia bimba prima e poi adolescente e dopo figlia adulta, tutto quello che comporta la Fibrosi Cistica, avrei desiderato confrontarmi con le esperienze di altre persone. Certo, quando ci recavamo presso il Centro per la cura della F.C. di Verona, si incontravano altre persone con cui condividere ciascumo la propria esperienza, ma non sempre si instaurava un rapporto confidenziale tale da raccontarsi il vissuto emotivo quotidiano. Tutt'al piu' ci si raccontavano i problemi e le modalita' pratiche nell' affrontare la quotidianita' di una persona affetta da F.C.
A volte, quando si vivono situazioni che hanno pochi riscontri nella vita delle altre persone che ci circondano, ci si sente un po' degli ufo. Ecco, quello che vorrei fare raccontando la mia esperienza con Prisca e con la Fibrosi Cistica : aiutare altre persone a non sentirsi fuori dal mondo.
Poi ognuno, pur accomunati da un'evento, ha una storia famigliare diversa, un modo di vivere e percepire le cose e anche di reagire diverso, ma nella diversita' resta un sentire e un desiderio di unione al resto del mondo che ci accomuna, come esseri umani. E comunque, le questioni filosofiche le lascio dirimere ai filosofi, personalmente nel momento in cui Prisca e' tornata in cielo, ho deciso che tutta questa esperienza non poteva andare dispersa nel vento. Mi ci e' voluto tempo per riuscire a mettere insieme un po' di pezzi, innanzitutto per riuscire ad accettare che lei non sia piu' qui, in carne (a dire il vero poca carne, come la maggior parte delle persone affette da F.C.) ed ossa. Sono passati tre anni e un po' di mesi ed ora mi sento di poter riuscire a raccontare la nostra storia. Non sono una professionista e non so se saro' tanto brava a raccontare. Per prima cosa provero' ad andare in ordine, ma e' difficile, percio' capitera' che racconti prima una cosa che era successa dopo...ma questo penso che nei ricordi sia abbastanza normale. Conto anche sull'aiuto degli amici che avranno la voglia di leggere questa storia, per renderla utile e chiara.

giovedì 12 maggio 2011

L'attesa continua

L'attesa del trapianto continuava e la salute peggiorava. Prisca era determita a vivere e, col sorriso sulle labbra, accoglieva chi veniva a trovarla e continuava a portare avanti le sue relazioni come se fosse tutto normale. Normale fare quasi di continuo cicli di antibiotico associati in flebo; normale dormire con una macchina, c-pap, che l'aiutasse a respirare anche quando il controllo del respiro volontario, dormendo, veniva abbandonato; normale girare per casa e fuori, con i tubicini nel naso per avere un po' di ossigeno in piu'; normale attaccarsi una flebo che aumentasse l'apporto nutrizionale prima di dormire e con quella passarci tutta la notte. Normale fare tre aereosol al giorno con varie sostanze, che duravano 20-30 minuti l'uno, normale fare due o tre ore di fisioterapia al giorno. Normale aver dovuto fare un piccolo intervento per inserire una specie di valcola, il port, lo stesso che mettono le persone in chemioterapia, in una vena principale, in modo che non si chiudesse piu' e da li' riuscire a fare tutte le flebo necessarie per continuare a vivere. Nel leggere questo elenco mi spavento anch'io, ora. Eppure anch'io ero entrata in questo stato mentale : se non e' possibile cambiarlo, si deve accettare quello che ci viene dato e viverlo al meglio! Solo cosi', abbiamo potuto vivere in questa condizione per quasi due anni. Non posso negare che ci fossero momenti di crisi e di avvilimento, per entrambe, siamo esseri umani! Quante volte tormando a casa dal lavoro piangevo pensando a tutto quello che aveva dovuto fare la mia Stellina  durante la giornata, mentre io avevo potuto fare il lavoro che mi piace fare, per fortuna, altrimenti non sarei riuscita a sostenere la situazione. E speravo in cuor mio che la giornata per lei fosse stata almeno discreta, tante volte purtroppo non era cosi'. Poi arrivavo, sorridente e felice di ritrovarci, e iniziavamo a fare la fisioterapia, che consisteva in battiture, con le mani a coppa, ritmicamente, sul suo torace, cosa che spesso facevo a tempo di musica per scherzarci un po' sopra. E poi compressioni, per far uscire tutto il fiato e con esso il muco, quella maledetta colla che ostruiva i suoi bronchi e polmoni.
Intanto parlavamo, parlavamo. Io raccontavo della mia giornata lavorativa, delle persone con cui lavoravo e delle loro storie. Lei parlava dei suoi amici, che le avevano fatto visita o telefonato...nonche' delle persone dell'ospedale, medici fisioterapiste, infermiere, il suo mondo di relazioni era anche questo, visti i suoi ricoveri sempre piu' frequenti. Naturalmente in tutte le relazioni e fatti di cui parlavamo, cercavamo sempre l'aspetto simpatico e divertente. In qualsiasi cosa ci capitasse cercavamo la parte divertente, che ci facesse almeno sorridere un po'. Ad esempio, quando era andata a fare l'intervento per mettere il port, dal reparto Fc l'avevano portata nel reparto di chirurgia. La faccenda in se, dura massimo mezz'ora e viene fatta in anestesia locale e un po' di valium per far stare calma la persona. Gia' la sensazione di benessere, che aveva provato Prisca nel fare il calmante, era stato per lei motivo di esaltazione e di battute, per parecchi giorni a seguire. Poi capito' che essendo io fuori dalla sala operatoria ad aspettare, finito l'intervento venisse fuori l'anestesista per dirmi che era finita e che era andato tutto bene. Senonche', vuoi che fosse perche' era estate ed ero vestita a fiori, vuoi perche' ero una donna piacente e l'anestesista, un piccolo uomo calvo, sulla cinquantina, era in cerca di preda, fattosta' che questo signore mi si aggrappo' al braccio, come un polipo, e mi accompagno' al reparto, mentre Prisca veniva riportata in barella. Una volta arrivati nella stanza di Prisca, lui non se ne voleva piu' andare e si mise a dare  disposizioni all'infermiera su quello che avrebbe dovuo fare, cosa che non era mai capitata :  l'espressione di sorpresa dell'infermiera fu molto eloquente! Quando finalmente l'anestesista se ne ando', dopo avermi voluto, insistentemente, dare il suo numero di cellulare, nel caso ci fossero problemi, chiamarlo assolutamente, ed essersi fatto dare il mio, Prisca ed io avemmo materia di lazzi e di scherzi per parecchi giorni, anche con le infermiere e le fisioterapiste del reparto! Questo era il nostro modo di vivere la situazione. Anche le infermiere e fisioterapiste venivano volentieri nella stanza di Prisca, a parte quelle proprio musone, poche per fortuna, tutte le altre gradivano avere un motivo per sorridere. E noi ci impegnavamo a trovarne sempre di nuovi!

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